martedì 28 giugno 2011

Robert Darnton, Il futuro del libro (Adelphi)

“Questo libro parla di libri; è una spudorata difesa della parola a stampa, passata presente e futura”. Con un incipit simile e un autore con un curriculum vitae come quello di Robert Darnton (storico del libro, ultimo incarico: direttore generale delle biblioteche dell’Università di Harvard) si sarebbe portati a supporre che “Il futuro del libro” (Adelphi, pp. 273, 24 euro) sia una raccolta di saggi di un intellettuale che guarda con sospetto all’editoria digitale e alla svolta impressa dalla rete alla diffusione di informazioni e contenuti librari. In realtà non è così. Darnton è certamente un bibliofilo, per indole e ragioni professionali, ma ha onestà intellettuale e cultura adatta a cogliere non solo i rischi ma anche le opportunità connesse a quella che è stata definita la “quarta rivoluzione”. Del resto predicare contro l’editoria digitale sarebbe una battaglia di pura retroguardia: di recente è uscita la notizia del sorpasso della vendita di eBook nei confronti delle rispettive versioni cartacee su Amazon.com, la più grande libreria digitale al mondo. Darnton affronta le tematiche in modo laico, cercando di capire, in particolare, “quali vantaggi reciproci legano le biblioteche a internet”. E infatti uno dei terreni di confronto dell’autore per cogliere i nodi della rivoluzione digitale è il caso clamoroso di Google Books Search. Come è noto, il progetto di Google era quello di digitalizzare milioni di libri (cosa che ha fatto: circa 15 milioni di volumi), e renderli disponibili online, commercializzandone – in varie forme - le versioni digitali. Dal progetto nacque una guerra giudiziaria con l’associazione degli editori americani, risolta in un accordo commerciale con cui gli editori si impegnavano a ritirare le cause in cambio di 125 milioni di dollari. Ma l’iniziativa è stata bloccata nel marzo di quest’anno dalla sentenza del giudice Denny Chin; pur ammettendo il valore dell’iniziativa, il giudice ha contestato a Google la possibilità di digitalizzare e commercializzare libri per i quali non si può risalire al titolare dei diritti. Google li aveva digitalizzati comunque, impegnandosi a rimuoverli qualora i titolari del copyright fossero saltati fuori e ne avessero fatto richiesta. In questo modo Big G ha ottenuto la titolarità di una fetta di mercato su cui eventuali competitori non avrebbero potuto mettere le mani. Commentando l’iniziativa c’è stato chi ha messo in risalto l’idealismo di Google, cioè la volontà, in fondo, di voler garantire il libero accesso alla conoscenza di un patrimonio librario sterminato. Darnton, che pure nel libro si richiama esplicitamente agli ideali illuministi della Repubblica delle lettere e rivendica il valore positivo della prima formulazione del copyright da parte dei costituenti americani (28 anni per proteggere gli interessi privati e poi prevalenza dell’interesse pubblico; oggi invece il copyright si estende per settant’anni dopo la morte dell’autore), qualche dubbio se lo è posto. “Non ero contrario al progetto di rendere accessibili gratuitamente su internet i testi di pubblico dominio, ma Google mi appariva un grande monopolio interessato a conquistare mercati, anziché un naturale alleato delle biblioteche”. Dubbi che Dartnon si pone pur dichiarandosi apertamente un “sostenitore entusiasta” di Google e sicuro della capacità di questo progetto di rendere “il sapere contenuto nei libri accessibile su scala mondiale”. Ma con alcune clausole: “finché non sarà risolto il problema della sopravvivenza elettronica, tutti i testi “nati digitali” sono una specie a rischio. L’ossessione di creare nuovi media ha inibito gli sforzi per salvaguardare quelli vecchi (…). Il miglior sistema di conservazione che sia mai stato inventato è antiquato e premoderno: il libro”. Ecco un’altra ragione per cui, per fortuna, non ce ne libereremo tanto facilmente. (at, oggi nell’Unione Sarda)

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