martedì 21 giugno 2011

On Repeat: Dirty Beaches

Negli ultimi anni l’immagine della spiaggia è diventato un luogo ricorrente di certa musica underground. Si tratta perlopiù di immagini sfocate, che richiamano ricordi di giovinezze lontane intorno a cui si stende un velo di nostalgia verso un passato che probabilmente non è mai esistito. I suoni che si accompagnano a queste immagini sono placidi, sognanti e recuperano musiche vecchie – in particolare degli anni ottanta – riproposte con una filologia quasi paradossale (la bassa fedeltà dei suoni su cassettina, ad esempio).
Epperò l’immaginario di Dirty Beaches – moniker a parte e nome del blog (analog beach) a parte - non coincide esattamente con quello. Le sue potrebbero essere, al limite, spiagge degradate (no, non deturpate…) ricoperte di catrame e di cadaveri di gabbiani. C’è qualcosa però che lo avvicina a quella sensibilità, anche se in modo decisamente trasfigurato. Di sicuro il recupero di sonorità vecchie filtrate da un approccio lo-fi. Ma laddove la "memoria" di alcuni ragazzi americani va ad una infanzia di colori acidi e spiagge piene di palme, la sua, quella di un ragazzo sradicato di nome Alex Zhang Hungtai, nato in Taiwan ed emigrato in Canada e che dichiara di non sentire nessun posto come casa sua, non può che essere necessariamente diversa. È una memoria di un’America archetipica dove la normalità della vita di provincia nasconde scenari da incubo (leggi: David Lynch). Quella del crooning classico e del rock’n’roll primitivo riscoperto con una sensibilità morbosa fatta di drum machine scalcinate, loop ossessivi, distorsioni e registrazioni in bassa fedeltà. Dirty Beaches sembra quasi un Elvis dall’inferno (cit.) che ha fatto in tempo a suonare coi Suicide intorno alla metà degli anni settanta e che canta le sue ballatone dolenti dentro una epopea americana fatte di strade perdute e motel low cost. Tra le altre cose con ballate pop classiche americane anni cinquanta (sentite True Blu) che già Lynch era riuscito ad utilizzare per trasmettere inquietudine. Nostalgia di un tempo perduto, anche qui, ma che non può che covare sottopelle una tensione e un disagio terribili.
Insomma, tutto questo giro di parole per dirvi che: Badlands di Dirty Beaches (uscito di recente su Zoo Music) è una figata ed è una delle cose più malsane che mi sia capitato di ascoltare nei tempi recenti.
(L'immagine è l'header del blog di Dirty Beaches)

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