venerdì 22 ottobre 2010

Iosonouncane, La macarena su Roma (Trovarobato)














(Questo pezzo è uscito oggi sull'Unione Sarda in una versione più corta. Posto la recensione qui per intero. Il disco si può ascoltare in streaming qui)

Strana razza di cantautore quella di Iosonouncane, nome de plume del buggerraio Jacopo Incani all'esordio su disco oggi (La macarena su Roma) per l'etichetta italiana Trovarobato. Cantautore in senso letterale e in senso lato: cioè innanzitutto uno che si scrive i suoi testi con una vocazione autoriale forte e che in fin dei conti si inserisce in una tradizione italiana che conduce giù giù fino ai Gaber, ai Dalla, ai De André, ma che allo stesso tempo riesce a estenderne i confini letterali con un approccio visionario, immergendo le linee melodiche dei suoi brani in un maelstrom musicale fatto di suoni sporchi, loop, beat, percussioni e campioni sgraziati prodotti con beatbox, tastierine giocattolo e macchine varie. È nel mezzo di questa tensione tra melodia e attitudine da guastatore musicale che Jacopo ha trovato la sua cifra stilistica personale, a supporto di una scrittura che gronda parole una dietro l'altra usando le sue ossessioni personali come chiave di lettura della società. La voce poi, una voce esacerbata, beffarda, ferocemente sarcastica con cui racconta storie grottesche che pescano dal suo vissuto (la disoccupazione, la precarietà, il lavoro per due anni in un call center), dall'immaginario televisivo e da fatti di cronaca rielaborati in chiave polemica e satirica. All'inizio, va detto, l'ascolto dell'album può disorientare, ma una volta trovata la chiave d'accesso riserva sorprese su tutti i livelli. Fin dall'apertura di “Summer on a spiaggia affollata”, la storia di un affondamento di una barca di clandestini e delle reazioni di cinismo e indifferenza della gente in spiaggia (“Una folla selvaggia che invoca a gran voce la versione in carne e ossa delle morti viste in tv”), che si chiude con una sovrapposizione infernale di voci che intonano il “po-po-po” dei Mondiali berlinesi, sui cui poi Jacopo grida rabbioso: “mamma non so nuotare, aiuto. Bevi negro, sei un negro, bevi, bevi”. Straniante. Gioca ancora con la voce in un dialogo con Gramsci, che gli confessa di aver mandato curriculum a tutti e che nemmeno alla Upim lo hanno preso, “guarda lascia perdere”, e in questa frase coglie lo spirito letteralmente sfiancato di un esercito di nuovi proletari senza alcuna speranza nel futuro. E poi il blob apocalittico messo in scena dentro un appartamento di 35 metri quadri di un uomo seduto in un divano di fronte alla tv (la straordinaria title-track), le rievocazioni di vicende personali nella toccante Il corpo del reato, o ancora il teatrino calcistico de Il famoso goal di mano, uno dei pezzi più “facili” del disco, che suggerisce che in fondo al di là dell'abito musicale con cui sono vestiti (e che è comunque elemento necessario della sua proposta) molti brani funzionerebbero anche con una chitarra e poco altro. Come succede solo quando c'è un talento vero nella scrittura tout-court. Disco bello, difficile e importante, il biglietto da visita di una delle voci più originali e intense del panorama italiano. (Andrea Tramonte, Unione Sarda)

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