domenica 14 marzo 2010

I malcontenti. Intervista a Paolo Nori













“Questa è una storia che una storia del genere non mi era mai capitata di scriverla”. Basta una riga appena per riconoscere subito Paolo Nori, individuarne stile, accento ed entrare immediatamente nel suo universo letterario – quell'universo fatto di intimismo stralunato, umorismo e sguardo obliquo sul mondo che i suoi lettori hanno trovato sempre in una lunga sequenza di libri pubblicati in dodici anni di carriera. Anche in questo nuovo romanzo, I malcontenti, uscito pochi giorni fa per Einaudi (pp. 166, 16 €), che pure parte con una rivendicazione di novità. È la storia del rapporto di una coppia di ragazzi sui trent'anni di nome Nina e Giovanni e dei loro tentativi di entrare nel mondo “adulto” senza smarrirsi e mandare in frantumi la loro relazione. La storia è filtrata dallo sguardo di Bernardo, scrittore e inquilino dell'appartamento del piano di sotto. Ma è anche la storia del suo tentativo di scrivere un saggio sul padre Renzo. Del suo rapporto con una “bambina di quattro anni” che lo chiama papà e delle sue piccole perle di saggezza. Dell'organizzazione di un festival in apparenza bislacco come quello dei Malcontenti. Ma soprattutto è una riflessione su una generazione di uomini nati dai Sessanta in poi, per i quali il mondo è già stato “fatto, preconfezionato, e l'unica cosa da fare è mettere delle crocette, come nei test”, e in cui lo strumento per farsi spazio è “la disperazione”.
Lei ha dichiarato che nella sua “personale esperienza di scrittura di romanzi, questo è un po’ diverso dagli altri”.
Un ragazzo mi disse che i miei romanzi sono il contrario del romanzo di avventura. Nei Tre moschettieri ci sono duelli, uccisioni, rapimenti. Giri le pagine per sapere che succede dopo. Nei miei romanzi invece leggi per capire se finalmente succederà qualcosa. Ho sempre lavorato sul niente apparente. Creavo aspettative per non soddisfarle. Stavolta ho provato a fare il contrario.
È per questo che marca una differenza anche sul tipo di storia narrata?
Stavolta c'è una trama tradizionale. E se punti sulla trama non puoi calcare troppo sulla voce del personaggio. Quella di Bernardo è una voce più quieta rispetto a quella del protagonista degli Scarti o di Bassotuba non c'è. Non c'era bisogno di un libro in cui ogni paragrafo si reggesse da solo, in uno stile identificabilissimo.
Bernardo afferma di essere diventato meno polemico che in passato. Anche per lei è così?
Ho 46 anni e da dodici anni pubblico libri. Un po' ho attenuato quell'atteggiamento polemico che avevo all'inizio. Ad esempio, durante i primi anni ero abbastanza stupefatto dal mondo dell'editoria. Lo trovavo affascinante ma anche repellente. Tanto è vero che è stato oggetto di alcuni miei romanzi. Ora ho cambiato atteggiamento, forse anche perché uno poi alla fine si stanca. Una delle cose che mi vien da dire è che questo personaggio si prende carico della vicenda, e non pensa di essere il più bravo di tutti, di essere superiore.
Si chiede: “non sarebbe il caso che la trama la descriva la vita, e che quelli che scrivono si limitino a raccontare?”.
È una idea di un gruppo di critici sovietici espressa in un libretto, La letteratura del fatto, che si scagliava contro la fiction, la letteratura della finzione. Contro le trame tutte uguali che producono romanzi tutti uguali, con colpi di scena prevedibili. Se si assume che la letteratura debba essere una cosa stupefacente, solo alcune cose hanno diritto di entrarvi, escludendo buona parte di ciò che vedono i nostri occhi. Quei critici esortano a raccontare quello che succede. Anche se poi ho tirato fuori l'indicazione proprio nel primo romanzo in cui lavoro su una trama...
Lei parla di Bologna come di una città talmente cambiata che “per trovar la sua faccia bisognava del tutto scordarsi quel nome così impegnativo”. Non a caso la ribattezza “Tommaso”...
Non credo che Bologna sia il posto peggiore dove vivere, però mi sembra una città molto triste. Da poco ho visto un manifesto dove si invitano gli anziani a ritirare le catenelle anti-borseggio: era un'esca per vendere loro le assicurazioni contro i furti. Sono arrivato nel '99 con alcune idee sulla città: negli anni 50 i mezzi pubblici erano gratuiti per coloro che dovevano andare a lavorare. Oggi gli autobus sono gratuiti, ma per andare al Motoroshow... (Andrea Tramonte, Unione Sarda 11/03/2010)

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