Una setta satanica sgangherata che sogna di compiere finalmente una impresa veramente malvagia, uno scrittore di successo preda della sua vanità, un palazzinaro dal passato dubbio che organizza un party a Villa Ada a Roma destinato - nelle sue intenzioni - ad essere ricordato come la festa più grande della storia italiana recente, con un parterre di ospiti di varia umanità che coinvolge attori, calciatori, veline, uomini dello spettacolo e della politica. Tutti in corsa verso l'apocalisse finale, verso una rovina collettiva in cui si specchia, in modo leggermente deformato, la rovina della società italiana stessa. Insomma, è un Niccolò Ammaniti in gran forma quello di “Che la festa cominci”, nuovo romanzo uscito su Einaudi Stile Libero a dare un seguito a Come dio comanda (vincitore dello Strega nel 2007). Con questo romanzo lo scrittore romano è tornato al passo svelto della commedia, allo humour implacabile che ne ha marchiato alcune delle sue esperienze migliori, alla fantasia feroce dei suoi romanzi più divertenti. Ci sono dentro due storie che procedono parallele. Quella di Mantos, leader della piccola setta delle Belve di Abbadon, un uomo infelice soggiogato dalla moglie e da una vita di frustrazioni. E quella di Fabrizio Ciba, “giovane scrittore” di 41 anni dal successo enorme e dal futuro un po' incerto. Entrambi si incroceranno al party del secolo del palazzinaro Sarà Chiatti – e inutile dire succederà davvero di tutto.
Il mood che si respira nel nuovo romanzo è profondamente diverso da quello di Come dio comanda. In che condizioni nasce questo libro?
Ho impiegato quasi cinque anni a scrivere Come dio comanda e il lavoro è stato estremamente impegnativo, anche per via del clima abbastanza tragico della storia. Quando uno scrive si trova a vivere ogni giorno accanto ai personaggi che produce e subisce l'atmosfera della storia. Quindi avevo voglia di staccare e di divertirmi un po'. Per questo alla fine è uscita fuori una specie di commedia satirica.
Che sentimenti nutre verso i personaggi del romanzo?
Li amo tutti, come mi capita in ogni romanzo che scrivo. Poi verso alcuni provo più misericordia, più compassione: trovo che siano personaggi schiavi di passioni e di necessità che non sono importanti, sono indotte, e le subiscono in modo inconsapevole.
Forse Ciba è il peggiore. Alla fine per lui – a differenza che per altri - non c'è nessuna redenzione.
Certo non è un personaggio positivo. È tormentato dalle incertezze, è arrivato al successo e sente che il successo gli sta sfuggendo dalle mani. Il problema è che il successo di uno scrittore non dovrebbe essere misurato da come e quanto appari, dalle “presenze”. Quando si è troppo sotto le luci della ribalta è difficile introiettare esperienze, capire le passioni e le storie delle persone. Lui vuole essere al centro di tutto. Ad un certo punto sembra riuscire a capire ed è quasi sul punto di trovare una strada per la redenzione, ma non sfrutta l'occasione. È negativo ma alla fine in fondo fa male solo a sé stesso. È una espressione dei nostri tempi, in cui gli intellettuali rischiano di diventare quasi delle veline.
Ciba è vanitoso ed egocentrico, ha un bisogno disperato di approvazione. Ad esempio è molto divertente come lei racconta le reazioni di piacere fisico che si innescano quando qualcuno si complimenta con lui per i suoi libri... C'è qualche tratto della sua personalità in cui si ritrova?
Spesso mi hanno chiesto a chi pensassi quando ho creato il personaggio, se a questo o a quello scrittore. Ma c'è dentro un coacervo di tratti e storie molto varie vissute stando accanto ai miei colleghi, e guardando dentro me stesso. O meglio, guardando alla parte più vanitosa e meno profonda della mia persona. Ci sono degli aspetti che possono emergere e che a volte ti repellono. Ma quando queste cose per te sono tutto e cerchi di avere sempre soddisfazione allora non riesci più ad avere un comportamento indipendente dal tuo successo.
L'interesse verso il mondo del satanismo invece come è nato?
In realtà il satanismo era un pretesto per raccontare alcune persone che vivono una passione solitaria che non possono raccontare agli altri. E non possono farlo soprattutto perché non hanno altri se non il proprio gruppo. Sono vite oscure e infelici che si raggrumano intorno a passioni comuni. Poi mi piaceva anche l'effetto comico di un uomo che subisce le angherie della moglie e che sogna di essere cattivissimo, anche se in realtà non lo è.
Forse la “misericordia” di cui parlava prima è sentita molto più proprio verso i quattro membri della setta.
Si, il mio sguardo nei loro confronti è più indulgente e bonario. Ma in realtà il mio sguardo non è mai cattivo verso nessun personaggio che racconto. Certo verso di loro sento una simpatia maggiore, perché anche nell'orrore del gesto che vogliono compiere mostrano dei bagliori maggiori di umanità.
Quando parla di come ha scritto un suo romanzo Ciba spiega che ogni singola parola, ogni singola frase era stata tirata fuori con fatica. Qual è il libro che ha trovato più difficoltà a scrivere?
Come dio comanda, anche perché venivo dal grande successo di Io non ho paura e tutti erano in attesa del nuovo libro. Me la sono presa molto con calma sentendo la responsabilità di scrivere un libro all'altezza dell'altro. Poi anche i temi trattati sono stati più faticosi. Ho voluto scrivere un libro che non fosse tranquillizzante. Raccontava l'odissea degli ultimi, di gente che nessuno ha voglia di guardare e che si nota solo se ti portano a farlo. Altrimenti sfuggono dalla vista se non fino a quando compiono qualcosa di terribile, come un fatto di sangue, e solo allora diventano i protagonisti del palcoscenico.
Nel romanzo c'è una osservazione molto cinica di Bocchi, il chirurgo estetico, sulle brutte figure. “Quelle che tu chiami figure di m... sono sprazzi di splendore mediatico che danno lustro al personaggio e che ti rendono più simpatico”.
Vuol dire che non c'è più bisogno di preoccuparsi troppo delle figuracce perché ormai sono state sdoganate. Prima c'era una morale diversa e c'erano comportamenti giusti e comportamenti sbagliati. Le figuracce avevano un peso, ora sono una macchia che si lava subito. In politica, in televisione, si fanno le cose peggiori ma poi dopo pochissimo vengono perdonate. Si fanno cose per cui nell'Ottocento ci si doveva solo chiudere in casa e spararsi, oggi invece si finisce all'Isola dei famosi. (Andrea Tramonte, Unione Sarda)
domenica 14 marzo 2010
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