giovedì 18 novembre 2010

Su hypnagogic e cose affini















C'è una tendenza culturale in atto nel mondo della musica – e in molti settori delle culture giovanili - che si può riassumere così: una sorta di “ricerca del tempo perduto” postmoderna che converge nella costruzione di una memoria condivisa che si serve di fotografie analogiche come Lomo e Polaroid, di musica in bassa fedeltà con richiami a suoni del passato – un po' come se uscissero fuori da una vecchia radio rinvenuta da una qualche incrostazione temporale -, veicolata spesso da formati musicali obsoleti come le cassettine e da videoclip post-prodotti cercando di ricreare le tinte delle immagini in super 8 o addirittura dei vhs. È una memoria sfasata, lontana, che richiama una infanzia immaginaria e profondamente idealizzata che assume i colori pastello e le immagini in bassa fedeltà di fotografie analogiche e i suoni nebulosi di certa musica lo-fi prodotta in questi ultimi due anni. Un luogo dell'immaginario, indistinto e carico di nostalgia, paradossale e attualissimo insieme, nel presente infinito in cui siamo immersi dove passato e futuro si ricombinano in continuazione assumendo significati inediti. Che cosa spinge un ragazzo cresciuto negli anni zero, in un mondo ormai quasi completamente digitalizzato, ad instaurare un rapporto quasi feticistico con oggetti desueti e a costruire un'estetica che ricorda quella delle generazioni dei settanta e degli ottanta? È solo una moda, ciclica, come quella per il vintage, oppure c'è una ragione più profonda?
Nel 2009 ha iniziato a girare un artista chiamato Washed Out, vero nome Ernest Green, originario della Georgia. Una foto lo ritrae col volto in primo piano sovrapposto allo sfondo di un mare agitato, su una scogliera indefinibile. L'effetto è ricreato attraverso una Lomo, una macchina fotografica manuale nata in Russia negli anni venti del secolo scorso e riportata in auge negli anni zero, quando la società Lomography ha rimesso in produzione le varie Holga e Diana. Per cambiare il fotogramma della pellicola occorre girare la leva e passare al successivo. Ma si possono fare due scatti nello stesso fotogramma, ottenendo così una sovrapposizione di due foto diverse (doppia esposizione). Lo scatto è profondamente retro. Potrebbe essere stato realizzato l'altro giorno come negli anni settanta, perché non da coordinate temporali precise. E lo stesso vale per la musica di Washed Out, che ha il passo placido di un certo electro-pop anni ottanta, però con un lavoro sul suono che tende a ricreare le condizioni di ascolto di quel decennio, o almeno come si suppone che fossero: come se l'ascolto avvenisse da una radiolina scassata o come se i brani fossero stati registrati su un nastro che era già stato inciso. In rete hanno iniziato a girare videoclip realizzati dai fan che si servivano di immagini di vecchi film, trasmissioni televisive anni ottanta, che interpretavano bene il contesto culturale che richiamavano i brani – la nostalgia, la memoria, il ricordo, quelle immagini che hanno popolato la giovinezza di ragazzi tra i 25 e i 30 e passa e che tornano in auge in modo lievemente deformato. In un articolo su The Wire sul movimento di band che compiono operazioni analoghe (Neon Indian, Memory Tapes, Ariel Pink, Julian Lynch ecc) il critico David Keenan ha parlato di una estetica basata sul “ricordo del ricordo”, che dalla musica ha iniziato a irradiarsi su tutto. Le band che fanno quel lavoro sulla memoria ormai non si contano più, ma non è solo la musica: i videoclip degli anni del triennio che va dal 2008 a oggi sono un trionfo di colori sgranati simil super 8. E pure le cover dei dischi, e spesso le stesse foto promozionali, sono accomunate da una estetica simile, come rilevato su Pitchfork.com in un articolo molto documentato che ha provato a fissare delle coordinate più generali: “stiamo diventando nostalgici non verso specifici oggetti dalla nostra giovinezza, o per le nostre memorie, ma per superfici e forme di oggetti che sembrano vecchie, e per i tipi generalizzati di memorie”. Anche la cassettina è un emblema di questo trend. Oggetto emotivo per definizione, che richiama una giovinezza fatta di compilation con titoli e artisti scritti a mano e di pomeriggi passati a registrare canzoni dalla radio, negli ultimi due anni è tornata in auge in modo del tutto imprevedibile. È come se si stesse creando una forma di memoria postuma all'interno di una attualità sospesa temporalmente. E dalla musica investe questioni più generali, come il nostro rapporto con questi anni tecnologicamente avanzati (e con le conseguenze che producono sulle nostre vite). C'è chi lo collega, come fa Pitchork, alla difficoltà di diventare adulti, oggi. Nella dilatazione dei tempi dell'adolescenza e della giovinezza. A differenza delle generazioni precedenti, che avevano un percorso di vita definito nei canali di lavoro e famiglia, con una certa stabilità e con delle tappe più o meno precisamente scandite, le ultime generazioni affrontano dei tempi completamente diversi: il lavoro si allontana, costruirsi una famiglia viene rimandato a tempi migliori. Uno scatto Polaroid, così carico di nostalgia, sembra quasi rimandare a tempi che, illusoriamente, vengono percepiti come più semplici. (Unione Sarda)

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