(Foto di Simona Toncelli)
Se è vero che Le luci della centrale elettrica è uno dei progetti musicali più rilevanti usciti fuori nella musica italiana degli ultimi tre-quattro anni, è vero anche che Vasco Brondi – il 25enne ferrarese che si cela dietro la sigla – sta riuscendo ad assumere una dimensione che va al di là dei dischi, di tournée, della trafila che deve compiere ogni musicista che voglia portare in giro la propria musica. Ad esempio, da tempo ha iniziato ad affiancare i concerti “tradizionali” con dei reading che riescono a conservare la sua impronta personalissima pur con un lavoro diverso nella sostanza: cover, reading musicati di testi suoi e altrui, un progetto nato sulla scia del suo lavoro letterario che, iniziato sul blog, ha avuto poi una consacrazione editoriale con il volume “Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero”, uscito prima per la piccola casa editrice bolognese Modo Infoshop e poi nel 2009 per Baldini & Castoldi. Venerdì e sabato notte ha chiuso il festival seneghese del Settembre dei poeti con quello spettacolo peculiare, nell'ambito delle letture della buonanotte a Sa funtana de sa rocca, circondato da persone di ogni età in quella location così intima e rocciosa, con la gente seduta per terra a gambe incrociate concentrata nell'ascolto durante il reading. È uno spettacolo per voce (a volte gridata, come nel suo stile), chitarra e loop machine, con testi scelti da quel bacino di letture e di canzoni che sente gli possano appartenere in qualche modo. E infatti a volte l'impressione è che siano testi suoi: sarà perché modo di cantare e stile musicale ormai sono dei marchi estremamente riconoscibili. “Leggo solo cose che sento molto, che entrano a far parte di quello che scrivo, sporcandole attraverso il mio modo di esprimermi”, racconta Vasco durante l'intervista pomeridiana nel paese montiferrino, di fronte alla fontana di Piazza Deriu a S'arruga de Partza de Cresia. “Oppure alcuni brani tratti dal mio libro e abbozzi di testi e canzoni che ho in mente. Mi piace mischiare il reading alle canzoni perché lo spettacolo ottiene un ritmo diverso, e anche quando faccio un concerto mi piace metterci dentro letture e cover”. Nello specifico, nei due giorni seneghesi ha proposto B.b.b dei Cccp, Oceano di gomma degli Afterhours, una splendida versione de La domenica delle salme di De André, ma soprattutto è riuscito a musicare dei testi letterari mediandoli con il suo stile vocale e musicale. “Ad esempio ho letto le ultime due pagine de Gli invisibili di Nanni Balestrini”, dice l'autore ferrarese. “In quelle pagine racconta il tentativo di alcuni carcerati di farsi sentire fuori da un carcere isolato, senza rendersi conto che fuori non c'è più il mondo che conoscevano prima. Battono dei colpi sulle sbarre ma il suono non arriva a nessuno: alla fine lo fanno solo per sé stessi e per le guardie. E quando accendono delle fiaccole lo spettacolo delle luci arriva solo, forse, fino all'autostrada”. E poi La solitudine di Leo Ferret: “L'ho conosciuto l'anno scorso, non è uno di quegli autori che ti capita di incontrare per caso. Un vecchio anarchico francese che in vecchiaia si è trasferito nella zona del Chianti e ha tradotto alcuni suoi testi, fortissimi, in italiano. Quando li ho scoperti ho sentito un'affinità particolare, avrei voluto scrivere io quelle parole”.
Vasco Brondi è un autore un po' atipico: cantautore punk che è riuscito a dire delle parole che sono riuscite a entrare nel lessico e nell'immaginario della gioventù musicalmente cresciuta negli anni zero, continua anche a coltivare le sue passioni per lettura e scrittura. “Anche il libro è un lavoro in un certo senso musicale, e penso che disco, libro e nuovo disco in uscita facciano parte di un'unica trilogia”. In fin dei conti la scrittura è quella: immaginifica, colma zeppa di accostamenti imprevedibili, apparentemente sconnessa. “In effetti può sembrare così, ma vive anche dei non detti che ci sono, dell'istintuale che non parla solo alla nostra razionalità scolastica”, prova a ragionarci su Vasco. “Sono immagini che possono sorprendere ma ad un occidentale riescono subito ad evocare qualcosa. Ma poi ci lavoro tanto, quando mi dicono la cosa del flusso di coscienza, insomma, ci ho messo due anni a scrivere dieci testi...”. Istinto e “falegnameria”, diciamo, con l'enfasi posta soprattutto sul primo polo. “Scrivere è una cosa che ho sempre fatto e non ho mai provato a razionalizzare il perché. Chiedermi del mio stile è come chiedermi come mai ho questa voce. Certo, ci ho lavorato su, ma in realtà lo associo un po' al mio modo di suonare: in modo punk, senza tecniche particolari, tiro fuori quello che sento dentro la pancia”. Poi c'è il discorso sull'immaginario di Vasco, su come quelle parole e l'istinto che le tira fuori riescano a convergere all'interno di temi ricorrenti che fanno parte dell'armamentario “concettuale” del suo discorso musicale e letterario. “È un discorso importante che rischia di essere banalizzato dicendo che parlo delle zone degradate, delle periferie, ma non è quello il mio obbiettivo”, racconta Brondi. “È il fatto di vedere questi luoghi come luoghi nostri dove succedono le cose, che per tanti motivi non succedono nei centri storici. Le città italiane hanno centri storici bellissimi ma intorno ad essi si sono sviluppati soprattutto gli spazi periferici, che sono quelli che mi piacciono. Le luci della centrale elettrica è la creazione di un mondo che è reale e immaginario allo stesso tempo, con dei personaggi che si muovono all'interno – non necessariamente me stesso – e mi piace l'idea di continuare ad esplorarlo, magari con lo sguardo di altre persone che possono collaborare con altri contribui, video, musicali, grafici. È un mondo normale: penso che sia consolatorio dire che parlo di situazioni estreme o cose esasperate. Ci sembrano tali solo perché i grandi media le ignorano. Ma la nostra vita è fatta di situazioni di questo tipo, e sono normalissime, si tratta solo di chiamare le cose con il loro nome. Parlare dei posti dove viviamo, delle persone e dei loro ruoli”. Intanto cresce l'attesa anche per il nuovo disco, che dovrebbe uscire entro l'anno e a cui ha lavorato insieme ad alcuni musicisti, tra cui Enrico Gabrielli. Lo ha fatto con calma, senza cedere alle pressioni e senza preoccuparsi troppo dei paragoni inevitabili con quel primo disco, Canzoni da spiaggia deturpata, che ovviamente ha generato aspettative estremamente elevate per il nuovo lavoro. “Non posso dire che non mi sono posto il problema dell'attesa, non sono certo impermeabile, però ho cercato di lavorare al nuovo disco cercando di non tenere presenti i possibili paragoni con il primo”, spiega Vasco. “Ho cercato di staccarmi e non ho nemmeno affrontato il discorso di un possibile cambiamento. Mi sono messo nella condizione di non avere niente da perdere, non ho il problema di portare avanti una carriera, mi sono sempre arrangiato facendo altre cose e posso riniziare a farle domani. Non faccio musica per sorprendere la critica musicale o per farmi elogiare, ho fatto quello che volevo fare con anche più libertà di prima, perché sono ancora più consapevole di quello che faccio. Le cose diverse che ci sono ci sono perché sono diverso io. La musica non è fatta per sorprendere, ma per farti rizzare i peli delle braccia, per regalare emozioni.” (Andrea Tramonte, Unione Sarda)
Vasco Brondi è un autore un po' atipico: cantautore punk che è riuscito a dire delle parole che sono riuscite a entrare nel lessico e nell'immaginario della gioventù musicalmente cresciuta negli anni zero, continua anche a coltivare le sue passioni per lettura e scrittura. “Anche il libro è un lavoro in un certo senso musicale, e penso che disco, libro e nuovo disco in uscita facciano parte di un'unica trilogia”. In fin dei conti la scrittura è quella: immaginifica, colma zeppa di accostamenti imprevedibili, apparentemente sconnessa. “In effetti può sembrare così, ma vive anche dei non detti che ci sono, dell'istintuale che non parla solo alla nostra razionalità scolastica”, prova a ragionarci su Vasco. “Sono immagini che possono sorprendere ma ad un occidentale riescono subito ad evocare qualcosa. Ma poi ci lavoro tanto, quando mi dicono la cosa del flusso di coscienza, insomma, ci ho messo due anni a scrivere dieci testi...”. Istinto e “falegnameria”, diciamo, con l'enfasi posta soprattutto sul primo polo. “Scrivere è una cosa che ho sempre fatto e non ho mai provato a razionalizzare il perché. Chiedermi del mio stile è come chiedermi come mai ho questa voce. Certo, ci ho lavorato su, ma in realtà lo associo un po' al mio modo di suonare: in modo punk, senza tecniche particolari, tiro fuori quello che sento dentro la pancia”. Poi c'è il discorso sull'immaginario di Vasco, su come quelle parole e l'istinto che le tira fuori riescano a convergere all'interno di temi ricorrenti che fanno parte dell'armamentario “concettuale” del suo discorso musicale e letterario. “È un discorso importante che rischia di essere banalizzato dicendo che parlo delle zone degradate, delle periferie, ma non è quello il mio obbiettivo”, racconta Brondi. “È il fatto di vedere questi luoghi come luoghi nostri dove succedono le cose, che per tanti motivi non succedono nei centri storici. Le città italiane hanno centri storici bellissimi ma intorno ad essi si sono sviluppati soprattutto gli spazi periferici, che sono quelli che mi piacciono. Le luci della centrale elettrica è la creazione di un mondo che è reale e immaginario allo stesso tempo, con dei personaggi che si muovono all'interno – non necessariamente me stesso – e mi piace l'idea di continuare ad esplorarlo, magari con lo sguardo di altre persone che possono collaborare con altri contribui, video, musicali, grafici. È un mondo normale: penso che sia consolatorio dire che parlo di situazioni estreme o cose esasperate. Ci sembrano tali solo perché i grandi media le ignorano. Ma la nostra vita è fatta di situazioni di questo tipo, e sono normalissime, si tratta solo di chiamare le cose con il loro nome. Parlare dei posti dove viviamo, delle persone e dei loro ruoli”. Intanto cresce l'attesa anche per il nuovo disco, che dovrebbe uscire entro l'anno e a cui ha lavorato insieme ad alcuni musicisti, tra cui Enrico Gabrielli. Lo ha fatto con calma, senza cedere alle pressioni e senza preoccuparsi troppo dei paragoni inevitabili con quel primo disco, Canzoni da spiaggia deturpata, che ovviamente ha generato aspettative estremamente elevate per il nuovo lavoro. “Non posso dire che non mi sono posto il problema dell'attesa, non sono certo impermeabile, però ho cercato di lavorare al nuovo disco cercando di non tenere presenti i possibili paragoni con il primo”, spiega Vasco. “Ho cercato di staccarmi e non ho nemmeno affrontato il discorso di un possibile cambiamento. Mi sono messo nella condizione di non avere niente da perdere, non ho il problema di portare avanti una carriera, mi sono sempre arrangiato facendo altre cose e posso riniziare a farle domani. Non faccio musica per sorprendere la critica musicale o per farmi elogiare, ho fatto quello che volevo fare con anche più libertà di prima, perché sono ancora più consapevole di quello che faccio. Le cose diverse che ci sono ci sono perché sono diverso io. La musica non è fatta per sorprendere, ma per farti rizzare i peli delle braccia, per regalare emozioni.” (Andrea Tramonte, Unione Sarda)
1 commento:
Complimenti per gli interessanti articoli che "posti" sul blog. Ma soprattutto le interviste ai grandi musicisti della scena indie italiana.
http://www.ale-acadutalibera.blogspot.com
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