giovedì 12 agosto 2010

Appunti sparsi sull'Here I Stay Festival 2010

Prima del fest pensavo che sarei riuscito a scrivere un report giorno per giorno per raccontare i tre giorni dell'Here I Stay Festival quasi in tempo reale. Ma come immaginavo non c'è stato tempo e modo.Ora, a dieci giorni di distanza, mi sembra giusto scrivere due righe – con la clausola che si tratta di una visione “dall'interno” - su un'edizione bellissima, che rivela come il festival stia crescendo bene e che fa guardare all'edizione dell'anno prossimo con ottimismo rinnovato. Ecco qui.

Cose che succedono all'Here I Stay. È domenica notte, ormai il festival si sta esaurendo con i (pochi) residui di energie rimaste a chi ha vissuto questa edizione fin dal primo pomeriggio del venerdì, alternando concerti e giornate al mare per tutto il fine settimana. I Raw Rave Groove hanno appena finito di infiammare il palco con un live davvero micidiale, dimostrando – se ancora ce ne fosse bisogno – che si tratta di una band matura nonostante la giovanissima età, pronta per il salto di qualità definitivo e per reggere una tournée europea di alto livello.
Dopo qualche minuto parte un dj set che non era in programma: gli Oneida sono saliti sul banco mixer del white stage e hanno iniziato a selezionare un po' di musica dal loro iPod. In genere il terzo giorno non si programma il dj set perché la gente arriva all'ultimo live della domenica notte un po', diciamo, “bollita”. Ma c'è ancora voglia di stare lì, di rinviare più possibileil momento in cui anche stavolta ci si dovrà lasciare alle spalle l'Here I Stay e aspettare un anno per la nuova edizione.

Gli Oneida partono con roba funk per poi proseguire con hip hop anni novanta e qualche incursione nell'electro. Solo il giorno prima la band newyorkese aveva fatto quello per cui è conosciuta: un live a volumi altissimi con un suono devastante che alterna ripetitività kraut, psichedelia, hard rock e rumore puro, squassando letteralmente le orecchie di chi stava davanti al palco (il fischio al mio orecchio sinistro è sparito solo dopo due giorni). Un live mostruoso – non c'è altro aggettivo per definirlo – che ha ampiamente ripagato gli sforzi per averli portati da New York a suonare in un piccolo festival sardo alle porte di un paesino del Medio Campidano.
Ed eccoli lì gli Oneida, domenica notte intorno alle due e mezzo tre, in apparenza quegli stessi Oneida del giorno prima, agitare le braccia e improvvisare balletti coreografici insieme a pubblico e band rimaste, rivelando una leggerezza e una capacità di mettersi in gioco che in fondo, avendoli sentiti live il giorno prima, non ti saresti aspettato. Vedi il batterista Kid Millions, che il sabato faceva cose aliene e reggeva sulle sue braccia un live di oltre un'ora di musica quasi senza soluzione di continuità, salire sul palco e scatenarsi e divertirsi senza mediazioni e compromessi. Qualcuno non ha apprezzato, la maggior parte invece ha capito e ben interpretato lo spirito con cui è stato fatto il set. E si è andati avanti così fino a tardi, finché la gente – stanchissima - non ha iniziato a ritirarsi nelle tende, a tornare a casa o nei b&b. E così è calato il sipario anche sull'edizione 2010 del festival.













Cose che succedono all'His. In un festival dove non ci sono steccati tra band, staff e pubblico, dove tutti si partecipa insieme alla stessa festa, dove il clima che si respira è di intimità e di amicizia – potrà suonare banale o retorico o addirittura melenso, ma è così, ed è un aspetto del festival per il quale l'Here I Stay rappresenta davvero una differenza.

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Una delle soddisfazioni più belle all'Here I Stay Festival è quando parli con alcune delle band coinvolte, una di quelle che vengono per la prima volta, ed esprimono la loro felicità (sincera, mica di circostanza) per essere state invitate. In un festival accogliente ospitato da una location bellissima a due passi dal mare impareggiabile della Costa Verde. Sono piccole cose che confortano nello sforzo annuale di andare avanti con questa esperienza.
Perché non è facile tirare su un festival così. Il concetto di “do-it-yourself” in Italia è stato un po' sputtanato, ma il nucleo rimane quello: fare le cose con le proprie forze, senza compromessi sulle scelte artistiche (mai una marchetta una, magari per avere qualche ingresso in più che darebbe una maggiore tranquillità economica), con un gruppo di otto ragazzi che si divide i compiti e che, arrivati alle soglie del festival, si pianta allo Sleepwalkers di Guspini diversi giorni prima dell'inizio, lavorando per allestire tutto e preparare per il venerdì. È un festival tirato su rischiando sulla propria pelle, scommettendo sul proprio lavoro. Ogni anno si prova a farlo crescere un po' di più, nella speranza che prima o poi possa arrivare una maggiore tranquillità economica con la possibilità di alzare ancora di più il livello della line-up.

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Una delle scommesse di quest'anno è stata inserire nella line-up un progetto completamente alieno rispetto al contesto “rock” e “pop” e “folk” ed “elettronico” tipico dell'His, un progetto a tenores originario di Seneghe, Su contrattu seneghesu. La loro esibizione è stata inserita domenica, dopo il live dei cagliaritani Everybody Tesla – live looping con uso ludico delle voci, dove un gusto pop accattivante fa il paio con un tiro, a volte, dancefloor e qualche apertura sperimentale – e quello del bolognese His Clancyness – cheha proposto un dream pop sognante e riverberato perfetto nell'orario in cui è stato collocato, quando il sole stava calando definitivamente – ed ha attirato tutto il pubblico del festival sotto il palco, incuriosito da quella presenza così insolita. È stato bello vedere come il pubblico ha risposto, con un entusiasmo affettuoso e una stima profonda che venivano rivelati dal silenzio rispettoso con cui l'esibizione veniva ascoltata. In molti si sono commossi. Poteva sembrare un azzardo e invece è stato bellissimo.


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Uno dei live che aspettavo con più curiosità al festival era quello dei Buzz Aldrin. Della band bolognese avevo ascoltato in streaming le tracce del primo ep, uscito su cassettina per la Secret Furry Hole e dentro ci avevo trovato molto di quello che in definitiva piace a me: un suono cupo e ossessivo che rielabora in modo originale influenze post punk inglesi e americane (Wire, Suicide), suggestioni shoegaze, tiro garage e perfino una cover dei Silver Apples. Dal vivo all'His sono stati giganteschi. Il suono sul palco acquista uno spessore – in senso quasi materico – che su disco non ha, e un impatto rock che viene notevolmente accentuato rispetto a quello delle registrazioni su tape. Percussivo, potente, anche violento; opinione personale – e senza voler fare torto alle altre band che hanno suonato – uno dei migliori live all'His.
Senza potermi soffermare su tutti, in ordine sparso segnalo anche – oltre ai già citati – il bellissimo concerto di Trees of Mint, che al festival ha portato il nuovo live basato interamente su composizioni strumentali per chitarra e loop, con pochi accordi che vengono reiterati per l'intera durata dei brani e una sovrapposizione di suoni che creano piccole, ma significative, variazioni all'interno della struttura del pezzo. Tutto accompagnato dalla proiezione di visual per l'intero corso del concerto. Tutto molto bello sul serio: non si sente la mancanza della voce e non si sente neanche la mancanza di quel gusto “pop” che pure aveva portato ad alcuni pezzi molto incisivi (Today Polaroid). C'è un senso dell'equilibro e della misura, un gusto e una sensibilità spiccata nel nuovo live di Trees of Mint che rivelano un artista profondamente maturato.
Vanvera si è presentato sul palco con una band inedita. Una band che ha accentuato il lato rock della sua musica con lui – senza la chitarra – libero di muoversi sul palco e tirare fuori dalle corde vocali una grinta nuova, liberatoria, che ne ribalta del tutto l'immagine degli ultimi live (spesso solo chitarra e voce) e lo rilancia in grande stile. Il primo Nick Cave, ma anche i Movie Star Junkies, a due passi. Ho apprezzato molto molto anche Criminal Jokers e Drink To Me, entrambi autori di ottimi live nella cornice del palco "piccolo". Hanno completato la scaletta: i sardi Plasma Expander, Love Boat, Two Bit Dezperados, Thee Oops, Musica per bambini (bravissimi), Comaneci (da brividi come al solito), GI Joe (notevoli), gli spagnoli Mujeres e Bradien, le danesine My Bubba and Mi, gli inglesi Cold Pumas, gli statunitensi Jonesin', e ancora Signorafranca (tra i veterani della scena elettronica cagliaritana) e Three Second Kiss (di notevole impatto anche loro). Dj set finali del sabato e del venerdì a cura di Michael Myers e Tavrvs.
Per chiudere vi rimando ai primi report usciti finora (aggiornerò l'elenco man mano che usciranno gli altri):

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